Nella fotografia, il movimento e la staticità sono concetti che, seppur opposti, possono coesistere in maniera straordinaria, come dimostrato magistralmente da Mario Giacomelli nelle sue fotografie dei seminaristi a Senigallia (1962-1963). Queste opere catturano un equilibrio unico tra l’energia del movimento e la pace della staticità. La neve che si solleva sotto i passi dei ragazzi rappresenta il dinamismo, mentre in altri scatti i loro gesti su sfondo praticamente bianco, come sospesi nel tempo, evocano una quiete e danno proprio l’idea di movimento e non movimento.

Vivendo per un anno con questi giovani, Giacomelli ha potuto immergersi nella loro vita quotidiana, fatta di routine e rinunce, ma anche di rari e preziosi momenti di abbandono e libertà sopratutto dopo una nevicata. Attraverso il suo obiettivo, ha saputo creare un ponte visivo trasmettendo un senso di temporalità che va oltre il momento immortalato.

In queste fotografie, ogni scatto rivela diversi livelli di interpretazione del movimento e della staticità. Alcune immagini appaiono nitide e prive di sfocature, sottolineando la precisione dell’istante. Tuttavia, è nelle composizioni, nei pattern e nei contrasti che si percepisce la vera essenza del movimento. Altre immagini invece risultano più mosse, dando una differente sensazione di movimento: alcuni soggetti sono nitidi, altri meno intenti a fare dei movimenti scoordinati inseguendo una palla. Insomma, Giacomelli con queste opere non ha solamente catturato il gioco di seminaristi sulla neve, ma ha anche saputo contrapporre la staticità e il silenzio della vita monastica con la vivacità e l’energia dei momenti di svago di giovani ragazzi, non necessariamente dalla forte vocazione. Appare evidente come il movimento si manifesti in miriadi di forme, e Giacomelli, ne conosceva intimamente il peso e il potere.


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